La grande…?

La grande bellezza

Che avrebbe vinto l’Oscar non c’era dubbio alcuno. E neanche di tutto il “grande fermento” che questo meritatissimo – così dicono – Oscar avrebbe suscitato negli animi di tanti che lo avevano già apprezzato in tempi non sospetti.  E vabbè! ” La grande bellezza”  di Paolo Sorrentino ha vinto l’Oscar! E, almeno per un giorno, possiamo dimenticarci di tutto quel che accade e affondare i nostri sensi in una bagarre di emozioni e percezioni acquisite che ci inseguono per raccontarci che si tratta di un bel film.

Devo dire la verità: avevo desistito dal vederlo, non per una sorta di affettazione al contrario, ma perché certi ambienti e certe dimensioni mentali sono molto distanti dal mio sentire e dal mio vedere il mondo e la quotidianità. Quando poi è stato menzionato per l’Oscar come “Miglior film straniero” la mia curiosità non ha saputo resistere  e così ho ceduto alla visione del film provando a osservare, da spettatrice profana, quel mondo che Sorrentino ha voluto rappresentare secondo quella usuale e solita visione che definisce il concetto di contrapposizione tra bene e male e brutto e bello alla quale siamo tutti asserviti ogni giorno.

Non me ne vogliano i grandi estimatori del trash (che forse ne subiscono il fascino anche nella vita) ma per me questo film non racconta niente. Anzi, racconta il peggio dell’Italia e null’altro. Racconta un vuoto che è fine a sé stesso e che non insegna nulla se non che esiste una Italia della confusione e dell’intrico, della politica delle bugie, delle mazzette, della non libertà di stampa.  Un’Italia che si spaccia per nuova laddove il nuovo si presenta come un groviglio di visioni rimescolate come le carte napoletane: ché poi sennò quel sette d’oro  va sempre dalla stessa parte.

È la solita sceneggiata italiana, nella quale molti si impantanano e non sanno neanche il perché. È il Grande Fratello che tutti bramano e che riesce a tratteggiare solo il vuoto che può vedere, perché per vedere il tutto c’è bisogno di due occhi e non di un occhio solo. E, se il film doveva rappresentare la bellezza contrapposta a questo mondo, non c’è riuscito e non riesce a dare neanche una connotazione precisa a quel vuoto che rappresenta: è un vuoto che rende bene solo l’idea dei valori a cui questa fetta di società si appiglia per rendere vana e sterile la propria vita. Come se ci fosse bisogno, poi, di ostentarla tanta pochezza piuttosto che occultarla.

La bellezza di cui abbiamo bisogno oggi è una bellezza che non ha bisogno di essere GRANDE  ma BELLA  e basta.  Una bellezza che accarezzi i nostri sensi con la necessità di rendere migliore quel che abbiamo, traendo insegnamenti da una memoria che pur c’è appartenuta, ma che richiede i giusti filtri per giungere a noi attraverso insegnamenti semplici che possano dare il passo giusto e una giusta collocazione al bello stesso.

Lo sfarzo, la grandezza, la magnificenza non appartengono alla bellezza: e non la raccontano. La bellezza, per non essere fine a sé stessa, deve fungere da tramite, deve rappresentare il mezzo per svelare valori rinnovati nei quali credere e non da ostentare e basta.

È un film che ho trovato violento per la prepotente e forzata imposizione a dover guardare, a tutti i costi, quel mondo secondo un filtro che evidentemente esiste ma non appartiene certo ai più. Con la presunzione, però, di rivelare un concetto tanto alto quanto distante dalle intenzioni che probabilmente stanno alla base di questa storia.  Una storia che, a mio avviso, riesce a palesare solo il ritratto bieco e volgare di una realtà spettacolarizzata che può esprimersi solo se ripiegata su se stessa e sulle apparenti e squallide verità che ogni esemplare meschino, alla stregua di Jep Gambardella e di tutto il contorno umano che gli si fa spazio intorno, deve costruirsi per riuscire a mostrare se stesso.

Senza entrare nel merito di presunte citazioni colte che, pare, siano presenti nel film, né tantomeno di tutti quei nomi illustri, più volte menzionati che, pare, abbiano ispirato l’orditura concettuale di tutta questa flebile vicenda umana, penso che di bello questo film racconti ben poco e anzi, avvalori ancora di più la forza che risiede in tutto il brutto che questa nostra società porta vanti invertendo le carte in tavola e rivelando false verità che offuscano il nostro vero sentire. E io, a questo vile gioco, non voglio partecipare a costo di rimanere fuori o, magari, rimanendoci dentro e vincendo: chi può dirlo!

Per ora, però, continua a vincere il brutto:  ché la bellezza, per fortuna, è tanto altro e tanto ancora.

Emanuela Gioia

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