Sono andata a Milano per la prima volta per andare a trovare Giulia. Era la mia prima volta a Milano ed era anche la mia prima volta su un aereo.
Ho sempre avuto paura di volare. E ne ho ancora, se devo dirla tutta.
Questa cosa mi ha sempre vincolata, tant’è che quando sono andata a Milano in aereo per la prima volta ero già bella che adulta. Avrò avuto almeno 24/25 anni.
O giù di lì.
Quando volo mi succede sempre una cosa strana che credo dipenda proprio da qualche strana reazione alla paura che per giorni, prima di volare, mi attanaglia e mi toglie il respiro: appena scendo avrei voglia di risalire su un altro aereo e di fare un viaggio ancora più lungo. Lunghissimo. La paura svanisce, improvvisamente, tanto da farmi venire voglia di volare ancora. Non ho mai capito perché, ma questa reazione ce l’ho tutte le volte e tutte le volte ne rimango sorpresa.
Quando sono andata a Milano per la prima volta ero ospite a casa di Giulia. Lei era australiana e aveva deciso di vivere a Milano per un po’. Lavorava con una stilista perché il suo sogno era quello di portare la moda italiana a Sidney, la sua città. Era una delle cose più ambite per le australiane, all’epoca: la moda italiana, specie le scarpe – chissà perché – di cui andavano matte.
Giulia abitava in un bellissimo appartamento, in porta Genova, in un palazzo di quelli che a Milano, specie in centro, ce ne sono tantissimi. Hanno dei grandi portoni che fanno ingresso nei cortili interni e poi ti portano in questi appartamenti con i soffitti alti e le finestre grandi con gli infissi in legno laccati bianchi. L’architetto che l’aveva ristrutturato l’aveva fatto diventare un grande Loft, trasformandolo in una di quelle case da rivista che al tempo, negli anni ‘90, non era ancora così usuale vedere.
Le case belle non erano così diffuse, specie tra i giovani, e non erano nemmeno tra i desideri più ambiti. In quegli anni si viveva ancora in maniera abbastanza modesta ed eravamo tutti molto più tranquilli e rilassati, e anche meno cattivi. Non c’era ancora questa folle rincorsa di oggi per ottenere cose e cose e sempre più cose materiali. In quegli anni si badava ancora molto ai sentimenti, alle relazioni umane, al sentire profondo delle emozioni che si riusciva a provare facendo anche le cose più semplici. E io, in quei giorni, ero molto felice di essere a Milano per la prima volta e di vedere una città nuova che mi stava regalando così tante e belle e nuove esperienze.
Un giorno Giulia mi ha portato in un bellissimo mercato. Era vicino casa sua, ma non ricordo più quale mercato fosse. Era incredibile per me, perché era una cosa totalmente nuova. Per la prima volta avevo capito davvero cosa fosse un vero mercato. Un’esperienza unica tra capi vintage, che allora erano una cosa molto ricercata, abiti a poco prezzo, ma soprattutto una cosa bellissima che non mi era mai capitato di vedere prima: c’erano tantissimi abiti, e accessori e scarpe e guanti e cappelli e borse, usati appena una volta nelle sfilate e poi venduti ad un quarto del prezzo. Tutta roba di marca e di ottima qualità, acquistata a prezzi davvero irrisori di cui, inutile dirlo, avevo fatto una buona scorpacciata. Cose talmente belle che ancora oggi, a distanza di molti anni, uso ancora e custodisco con grande attenzione. E lo so che quella storia che le cose di un tempo e trallallero e trallallà, ha un po’ stufato però, insomma, fuor di retorica è proprio vero che avevano un’altra durata e non si rompevano ed erano proprio pensate e progettate per scavallare gli anni e andare oltre.
Ho fatto anche scorta di libri comprati al mercatino. Anche quella era un’esperienza nuova e nonostante anche questa moda, diffusa di molto al giorno d’oggi, di ricercare le prime edizioni dei libri e le edizioni vintage o semplicemente delle copie a metà prezzo anche di edizioni recenti, non fosse ancora per niente diffusa, io avevo imparato già per conto mio ad amare i libri rari e unici. Ricordo di aver comprato una copia dello Schlosser, una istituzione per chi studiava la letteratura artistica, in una edizione del 1932.
Ho camminato per Milano per 4 giorni interi. Volevo vederla tutta e sono andata persino a Chinatown, dove ho comprato un paio di ciabattine di legno cinesi in un negozietto che non era una cineseria come quelle di oggi, ma una piccola boutique di cineserie preziose. Mi ricordo di esserci andata in autobus, insieme a Giulia, e di aver poi mangiato il cibo cinese più buono che avessi mangiato fino a quel momento.
È stata anche la mia prima volta in un ristorante giapponese. Uno di quelli in cui entri e ti togli le scarpe e ti siedi per terra per mangiare su un tavolino basso e che quando esci hai più fame di quando sei entrato ma sei felice come un bambino dopo il lunaparck.
“O lo ami o lo odi” mi aveva detto Giulia. Per me è stato amore a prima vista. Ne ho amato ogni singolo particolare: dal silenzio quasi religioso, ai gusti forti del crudo e delle radici piccanti, al bere tè verde, rigorosamente caldo, pasteggiando.
Ho un ricordo vivo di quella mia prima volta a Milano. Immagino che sia per la profondità delle esperienze vissute in quei giorni.
Giorni pieni zeppi di emozioni, vissute e custodite senza necessità di catapultarle su uno schermo per mercanteggiarle e farne oggetto di ostentazione. Quei ricordi che ti consentono di soffermarti a pensare: per ricordare, ricostruire certi momenti e provare a risentirne il profumo e anche la forza della bellezza.
Una prima volta di tante cose, che ha saputo imprimere ogni spaccato in quell’angolo nascosto del cuore che tutto sa custodire.
Una prima volta di tante cose che ero già grande, ma ancora piccola per capire quanto di quelle cose non avrei più visto che i ricordi.
Emanuela Gioia