Dacia Maraini: una viaggiatrice.

Dacia Maraini viaggiatrice

DALLA QUARTA DI COPERTINA:

Un libro nato per caso, dalla scoperta degli straordinari quaderni di mia madre. Quando ho cominciato a scrivere, la mano è partita da sola e non si è più fermata. Gli scrittori sono sempre impudichi. della loro vita fanno materia di narrazione e non possono esimersi dall’inseguire i personaggi del proprio passato con comica e ingenua fermezza.

dm

Mio padre un giorno mi ha regalato questi quaderni, dicendo  «Ti riguardano, prendili». Ho cominciato a sfogliarli e mano a mano che andavo avanti ero acciuffata dalla commozione. Il passato ha la capacità di saltarti addosso a tradimento attraverso una fotografia, una lettera. Ti racconta di un tempo che non c’è più e che pure si fa vivo ai tuoi occhi con una vivacità e una corposità assolutamente insospettate. Favoleggia nel tuo orecchio di una parte di te ormai sparita, che credevi del tutto morta e che invece stava in letargo in qualche angolo della memoria. Sonoio questa bambina, mi dico, ma non sono più io. Ho perso per sempre quel corpo che nelle fotografie appare così reale, così nitido e consistente. Oggi un nuovo corpo, sciupato, offeso dal tempo e dalle esperienze, ferito come un vecchio soldato che ha fatto troppe guerre, siede al sole cercando di scaldare un sangue che circola con lentezza esasperante.

Cosa ho da spartire con quella bambina lontana?

Ammetto che non mi importa più molto di lei. È morta, pazienza. Ho fatto tanta fatica a crescere che quasi la sento come una lontana nemica.

Quello che allora mi provocava dolore, e ancora oggi lo fomenta, è invece la perdita della giovinezza di mia madre, così fresca e tenera e lontana. La giovinezza di mia madre mi è quasi più cara della mia, è parte integrante di una mitologia dello spirito a cui mi appiglio per credere nella realtà.

Da bambina qualcuno, forse la balia Masako Moriokasan, detta Okachan, mi spiegava che dovevo dormire perché dormendo mi sarei allungata. Ma poi aggiungeva, non senza una punta di malignità, che allungandomi avrei fatto invecchiare mia madre e che questo era il giusto moto della natura: i miei piedi di bambina si sarebbero fatti grandi, robusti e avrebbero spinto a piccoli colpi gentili il corpo di mia madre verso la vecchiaia.

Questa notizia mi allarmava e mi feriva. L’idea che mia madre invecchiasse per colpa mia, era intollerabile. E cercavo delle strategie per fermare quel tempo che cacciava avanti me verso l’adolescenza e mia madre verso la maturità. Insomma ero abitata da un rovello insistente: come fare per non crescere o almeno per rallentare questa crescita crudele e sconsiderata?

La soluzione, mi sembrava di capire, era quella di non dormire affatto. Se dormire significava allungarmi e allungarmi significava accorciare la giovinezza di mia madre, la sola cosa possibile era rinunciare al sonno. Così io sarei rimasta bambina e mia madre si sarebbe fermata sulla soglia della giovinezza: una gioiosa e delicata donna dal passo deciso e le mani sempre in movimento. Sorridente e festosa. Così necessaria all’equilibrio del mio pensiero e così indispensabile alla pienezza della mia fiducia nei riguardi del mondo e della famiglia.

Credo che da quel proposito derivi l’insonnia, di cui ho sempre sofferto e che si accanisce in certi periodi con una tenacia radicale. Tendenzialmente dormo poco e, quando dormo, basta un soffio per svegliarmi, proprio come se ogni ora persa nel sonno fosse ancora oggi una offesa fatta alla rotondità e all’allegria di mia madre .

Che dolore constatare che le mie strategie sono servite a poco! Anche se mia madre dimostra dieci anni meno della sua età, anche se conserva una voce squillante e dei folti capelli che, da castani, sono diventati grigi dopo gli ottant’anni, ma non sono ancora del tutto bianchi. Anche se il giudizio è lucido e fermo. Non a caso, quando ho troppo da fare, le consegno i nuovi libri che arrivano perché li legga e faccia una prima selezione. Le sue valutazioni sono intelligenti e di grande modernità. Non ha pregiudizi, mia madre. La sua testa di ragazza invecchiata si trova sempre all’avanguardia nelle questioni che riguardano la convivenza civile. Eppure non sono riuscita a impedire che diventasse più piccola e più fragile, che mettesse su rughe e dolori come una qualsiasi persona anziana.

Il primo sapore che ho conosciuto, e di cui conservo la memoria, è il sapore del viaggio. Un gusto di bagagli appena aperti: naftalina, lucido da scarpe e quel profumo che impregnava i vestiti di mia madre in cui affondavo la faccia con delizia. Il baule che occupava gran parte della nostra cabina si apriva come i forzieri dei teatranti di una volta: era un armadio vero e proprio fatto di un legno robusto e leggero, tenuto insieme da strisce di ottone. E quando lo si metteva in piedi, aperto a libro, fungeva da guardaroba mobile con cassetti che si schiudevano sui lati, un angolo attraversato da un tubo a cui si appendevano le grucce con i vestiti e le giacche. C’era perfino lo spazio per nascondersi dietro la tendina tirata e per me bambina era un rifugio voluttuoso, in mezzo al profumo di spigo della biancheria materna.

Da La nave per Kobe di Dacia Maraini

9788817868358
Titolo : La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre

Autore: Dacia Maraini

Casa editrice: Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2003

 

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.