La felicità degli altri di Carmen Pellegrino.

«… l’oscurità, diceva il professor T., è ciò da cui la luce prende origine. Nessun giorno spunterebbe mai, se la notte non preparasse la vita.»

Il buio, il nero, l’oscurità, hanno sempre le sembianze di luoghi fisici. Sono luoghi in cui la luce non entra o non la si vuole far entrare.

Il buio dell’anima, invece, ha quasi sempre qualcosa di molto più profondo e poco riconoscibile. Parte da un puntino piccolo e irrilevante e può trasformarsi in una voragine che ti inghiotte se non ne riconosci per tempo il pericolo e, ignarə di tutti gli anfratti che ne ramificano le angosce, continui a ristagnarci dentro facendo bui anche gli occhi.

È un buio che infesta, quello dell’anima: come la gramigna che torna ogni volta a soffocare quei piccoli varchi di luce che a fatica hai provato ad aprire, creando ombre continue e sempre diverse e di cui a fatica riesci a interpretarne le sembianze.

“La felicità degli altri”, il nuovo romanzo di Carmen Pellegrino, edito da La nave di Teseo e candidato al Premio Campiello 2021, racconta la storia di Cloe, una donna la cui vita rimane impigliata in una vicenda dolorosa vissuta negli anni dell’infanzia.  Una vicenda che cristallizza la sua vita in uno spazio e in un tempo indefiniti, come indefinito e vago rimane tutto ciò che viene dopo e su cui, per il bisogno di farsi scudo e di perimetrare quel suo dolore per decifrarne le pieghe, Cloe costruisce altre storie, altre ombre, altri dolori.  

Cloe è una donna ed è molte donne.

Ma è soprattutto il suo dolore e le ombre ingombranti che le hanno rabbuiato l’anima.

La sua vita, eclissata dalla presenza di fantasmi e di storie edificate su quelle certezze che danzano felici nei suoi pensieri offuscati e poco lucidi, procede come un disco rotto: ogni passo fatto in avanti è un salto indietro che la fa tornare là dove tutto è iniziato.

Una vita che inciampa nel dolore di sua madre e lì rimane bloccata per procedere, poi, quasi a strati, tanti quanti nella sua testa è stata capace di crearne: ognuno con una storia, ognuno con una direzione, perdendo definitivamente la strada della verità.    

Una verità che ha sempre finito per perdersi dietro ad un unico e grande desiderio:

«Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata»

Inizia tutto quando Cloe ha 10 anni e viene affidata al Generale e a Madame, due figure quasi eteree, dall’animo nobile e gentile, che fondano, lassù sulla collina, La casa dei timidi:  un luogo dove l’amore e l’accoglienza diventano alcova di molti bambini che non hanno più nulla a cui aggrapparsi, proprio come Cloe. Ma a Cloe quell’amore non basta.

Da quel momento molti muri si alzeranno di fronte al suo essere bambina e alle vicende che le impediranno di compiere i passi giusti per camminare le fasi della vita su un percorso lineare.

«Dicono che il corpo sia più vicino all’inconscio di quanto lo sia la coscienza. Il corpo che ricongiunge alla verità più immediata, ma anche più difficile da sondare perché è un confine impenetrabile se non in quei pochi canali che l’istinto solca. Il corpo che è l’estrema Thule, Il nostro riparo dalla realtà così imprevedibile. Ma che dire di un corpo rimasto bloccato nel dolore?»

A 18 anni Cloe abbandona La casa dei timidi, il luogo che fino a quel momento era stata la sua unica certezza in mezzo al disordine della sua esistenza, per tuffarsi nelle cose del mondo e andare alla ricerca di nuove dimensioni.

Passerà attraverso altre vite, altri nomi, altre possibilità di connessione con sé stessa e con la sua parte più autentica. E in questa ricerca spasmodica di qualcunə, o qualcosa, che fosse in grado di rendere la sua immagine meno fluida, dopo un matrimonio sbagliato e finito in un tempo rapidissimo, Cloe decide di seguire il consiglio di Madame: quello di trasferirsi a Venezia per riprendere a studiare.

«Venezia fu la prima buona idea della mia vita.  Avevo trentasei anni quando vi presi dimora, pervasa da un inspiegabile, a tratti tenero, sentimento per me; era autunno e pensavo di restarci fino alla primavera, ma ora non saprei dire quanto ci rimasi, in termini di tempo misurabile. Posso però dire che il tempo trascorso fra le calli ha modificato per sempre qualcosa di me. Hanno ragione quelli che studiano a fondo i luoghi: possono “trasformare“, dare forma a chi si immerge con l’intenzione di farsi camminare accanto dei fantasmi che trattengono. Non dicono niente, questi fantasmi dei luoghi, si limitano ad accompagnarci, portando con sé una persistenza di vita sopravvissuta alle distruzioni. (…) Quell’anno, Decisi di seguire un corso che si sarebbe rivelato un irregolare tracciato su certi sensi sottili e secondi dell’animo umano. Era il corso di Estetica dell’ombra, tenuto dal professor T., uomo immobile e solitario.»

A Venezia Cloe incontra il Professor T., docente del corso di Estetica dell’ombra all’Università, una figura che a suo modo conosce bene quel mondo fatto di ombre e di oscurità, proprio come lei. Due anime affini che si incontrano e si riconoscono, si annusano e si cercano e senza parlare comprendono ogni cosa dell’altro. Un incontro di anime che convergono nella stessa oscurità e insieme saranno capaci di condurre i loro passi nella giusta direzione: quella che riparte dal dolore per affondare nel buio più nero e ritrova, poi, quella luce che è lì che aspetta da qualche parte.

«Se impareremo a non avere timore del buio, diceva, non ci faremo ingannare dalle false lanterne»

Sarà lui a far capire a Cloe la necessità di rituffarsi nel passato, per attraversare il buio e affrontare le ombre, come cura e guarigione. Sarà lui a spiegarle che c’è sempre una nuova possibilità: basta cercarla, ma soprattutto avere il coraggio di farlo.

«(…) cerchiamo dimora più lontano possibile dal nostro starmale, spinti da una specie di diaspora interiore. (…) Eppure, più spesso di quanto crediamo, è in quelle stanze in cui non entriamo più che, nascosto alla vista, è rimasto quel noto bandolo che sbroglierebbe la matassa. Se solo avessimo il coraggio di fare la posta alle ombre, di coglierne il suono leggerissimo rivolto soltanto a noi. Se riuscissimo a entrare nella casa chiudendoci la porta alle spalle e poi, armati di grimaleìdello, aprire le stanze, una ad una…»

Lo spazio e il tempo, nel racconto di Carmen Pellegrino, non hanno una dimensione ben definita, ma le parole, e le immagini che da esse vengono fuori come dei flashback di emozioni, sono dense e coese nella narrazione di quella fluidità di cui le ombre sono capaci.

Parole compatte che raccontano un mondo liquido: quello che Cloe ha saputo costruire, nel corso della sua esistenza, a partire da quello stop che ha spezzato un ciclo, invertendo la rotta dei pensieri e delle azioni.

E sarà solo quando quel ciclo ricomincerà da dove si è interrotto che tutti i tasselli si rimetteranno a posto: come un ritorno laddove tutto ha avuto inizio per ricominciare dalla consapevolezza di sé e del mondo che le sta intorno.

Abbandonologa.  Così è stata definita Carmen Pellegrino: la scrittrice degli abbandoni.

E come in ogni abbandono quasi sempre c’è un ritorno che diventa necessità per ricompattare i pezzi perduti e dargli un ordine per andare avanti su una nuova traiettoria.

Un ritorno che La felicità degli altri invoca, per rimettere insieme i cocci e procedere sulla strada di una anastilosi dell’anima: quella strada che rimette, finalmente, in pace con sé stessə dopo aver fatto giri immensi.  

«Questa facezia nervosa del tempo che va solo in avanti non andrebbe caldeggiata sempre. Occorrerebbero panchine per i giorni senza ritorno, per le attese nuove che bisogna darsi dopo le illusioni. Una panchina e un quaderno, tra le cui pagine dare un senso al caos. E poi, guarda meglio, guarda le strade che dalla panchina ripartono: un formidabile ventaglio di possibilità che si schiudono sui lati, avanti, indietro. E prima di rialzarsi, incidere in un angolo, per chi verrà dopo, che a volte fermarsi è un atto di ammutinamento. E così perdere treni, navi, aerei… Quindi rimettersi in cammino, vicini al proprio cuore più autentico, con un sorriso deciduo d’insorti.»

TITOLO La felicità degli altri

AUTORE Carmen Pellegrino

EDITORE La Nave di Teseo

ANNO DI USCITA 2021


Emanuela Gioia

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