Il Gattopardo e la sua trasposizione cinematografica

La riscoperta di un capolavoro della letteratura grazie al cinema di Luchino Visconti

Luchino Visconti, Public domain, via Wikimedia Commons

Succede quasi sempre che l’esperienza della visione di un film tratto da un libro non sia all’altezza delle aspettative e si trasformi in una delusione. Naturalmente il quasi è d’obbligo, perché esistono dei casi particolari in cui non solo questo non avviene, ma capita addirittura che il film spiani la strada al libro, creando i presupposti positivi laddove il libro non abbia avuto un riscontro non solo dal pubblico, ma persino dalla critica.

Uno di questi casi, eclatante se non addirittura unico, è senza dubbio il film Il Gattopardo, tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, prodotto dalla Titanus e uscito nel 1963 per la regia di Luchino Visconti.

Le Vicende editoriali del Gattopardo

Il Gattopardo fu pubblicato postumo, nel 1958, da Feltrinelli, grazie all’intuizione di Giorgio Bassani che, entrato da poco in casa editrice per dirigere una collana di autori contemporanei, lo propone a Giangiacomo Feltrinelli dopo che Vittorini lo aveva rifiutato per Mondadori e Einaudi.

 Il tema del “grande rifiuto di Vittorini” fu per molto tempo la versione ufficiale del perché il romanzo di Tomasi di Lampedusa rischiò di non essere pubblicato.

Vittorini, infatti, ebbe la possibilità di valutare per ben due volte Il Gattopardo. La prima fu nel 1956 per la Mondadori, per la quale Vittorini svolgeva il ruolo di consulente editoriale, e la seconda, l’anno seguente, in qualità di curatore della collana I gettoni della Einaudi, da lui diretta fin dal 1951. Secondo questa versione, circolata negli ambienti editoriali per qualche anno, in entrambi i casi Vittorini avrebbe deciso di liquidare il romanzo con un netto rifiuto.

Una versione che, però, in tempi recenti è stata smentita e che nel caso della vicenda Einaudi è stata persino ribaltata, mettendo in evidenza la coerenza dimostrata da Vittorini nel rifiutare un’opera che non sarebbe rientrata nella scelta dei titoli di una collana ideata da Einaudi per dare voce a un’idea di letteratura indirizzata su percorsi sperimentali.  Nel caso della Mondadori, invece, non ci fu un vero e proprio rifiuto, quanto la proposta di suggerire all’autore la revisione di alcune parti del romanzo che, ad ogni modo, fu concordata da Vittorini insieme ad altri collaboratori, tenuto conto della sua posizione di collaboratore che non prevedeva potere decisionale.

Una nuova versione che lo scagiona, dunque, dal presunto abbaglio di non aver capito la grandezza dell’opera, sostenuta da una nota dello stesso Vittorini indirizzata ai responsabili della Mondadori in cui dice: «[…] Manca comunque di qualcosa che rende monco il libro pur pregevole. Non si può far capire all’autore che dovrebbe rimetterci le mani (e in qual senso)? Intanto restituirei avendo cura di assicurarci che l’autore rispedisca a noi dopo fatta la revisione».

Ad ogni modo, le polemiche intorno al libro furono molteplici, e in quegli anni furono molte le remore da parte della critica circa la valutazione del romanzo, che veniva considerato vecchio e inattuale. Remore che accesero persino un pesante confronto politico e culturale che andrà oltre la dimensione della lettura critica del testo.

Nel 1959 l’opera vinse il premio Strega contro qualunque aspettativa, anche se il pubblico ne aveva già decretato la vittoria con settanta mila copie vendute.

Maria Bellonci lo racconta così nel suo Io e il premio Strega: «Fra i nostri 361 votanti c’era tempesta. Qualcuno sosteneva che era impossibile non tener conto della presenza di un’opera simile nella nostra letteratura; rispondevano altri che appunto la sua eccezionalità la metteva fuori concorso. Nulla nel nostro regolamento vietava la sua inclusione nella lista.»

La trasposizione cinematografica di Visconti

Lo Strega fu certamente la consacrazione dell’opera, ma ancora di più ciò che fece mettere pace a qualunque contrasto politico e culturale fu la bravura di Luchino Visconti che, con la sua trasposizione cinematografica, ne rafforzò ulteriormente il successo, riuscendo a porre in risalto le intenzioni dell’autore e la riuscita effettiva di un romanzo che, malgrado le apparenze e le analisi di una parte della critica, di vecchio e inattuale aveva ben poco.

Il film, proiettato in anteprima la sera del 27 Marzo del 1963 al Cinema Barberini di Roma, entrò in distribuzione in sala il giorno dopo, il 28 Marzo 1963.

Interpretato da attori del calibro di Burt Lancaster, nel ruolo di Don Fabrizio, Alain Delon e Claudia Cardinale, nella parte della bellissima Angelica, a differenza del libro ebbe fin da subito un grande successo, sia per la critica che per il pubblico.

L’adattamento di Visconti rimane fedele al romanzo

A differenza di quanto abituato a fare con le sue trasposizioni di testi letterari che, in genere, erano un punto di partenza da cui ricavare dei processi di trasformazione per arrivare alle sue personali conclusioni, con Il Gattopardo il regista scopre di essere in perfetta sintonia con l’autore e con l’essenza del romanzo, che è soprattutto un romanzo sull’inesorabilità del tempo, sulla vita e sulla morte, riuscendo a trasferire sullo schermo il sentimento di malinconia e di sconfitta che lo caratterizza.  

E infatti, nonostante il film escluda gli ultimi due capitoli, molto importanti nel romanzo perché sottolineano l’importanza di uno dei temi principali dell’opera – quello della morte e dello scorrere del tempo -, questo non va a modificare il significato complessiva dell’opera, anzi diventa un modo per consolidarne il valore grazie alla forza espressiva di immagini e scene che diventano essenziali per cogliere la centralità dei temi e la forza prorompente dei personaggi. In tal senso molto significativa diventa la scena del ballo che se nel libro occupa solo una piccola parte, nel film diventa una delle scene più importanti e chiarificatrici.

Il successo del libro grazie al film

Il film diventa così una sorta di completamento di un’opera che per certi versi era stata capita solo a metà. Visconti, infatti, con la sua capacità di creare immagini suggestive e di evocare atmosfere e sentimenti profondi ha saputo trasmettere il messaggio universale, già sotteso nel significato del romanzo, che va oltre la vicenda storica della Sicilia dell’Ottocento e che diventa spunto per una riflessione sul destino dell’uomo, sulla necessità di adattarsi ai cambiamenti e sull’ importanza della memoria: dunque sul senso della storia e sulle sfide che ogni individuo deve affrontare nel corso della propria vita.

Emanuela Gioia

Articolo già pubblicato, in forma ridotta, sul blog di Next Audiolibri

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