PREMIO STREGA. Evoluzione storica e culturale del premio letterario più importante in Italia.

Premio strega

La storia del Premio Strega è legata a doppio filo alla donna che ne fu l’ideatrice e la fondatrice, Maria Villavecchia Bellonci.

In una intervista a Sandra Petrignani, contenuta nel libro da poco ristampato Le signore della scrittura, alla domanda “cos’è la letteratura?”Maria Bellonci risponde così:

(…) l’amore per la letteratura e per i libri è la fede in un mondo creato dagli uomini per gli uomini, il solo che può salvarci dalla maledizione del non vivere.

Ed è in questo sentire, e in ciò che quell’amore è riuscito a smuovere e a creare, che è custodita l’essenza del Premio Strega. Una frase, che è una sorta di manifesto, che ci racconta di quanta autenticità ci fosse nell’ intento di sopravvivenza o, meglio, di rinascita in un momento in cui ripulire ogni cosa dalle macerie della guerra era una necessità viva e impellente.

La nascita del Premio Strega

Nel libro Come un racconto. Storia del premio strega. Maria Bellonci scrive:

“Lo Strega non è un premio letterario nato da incontri occasionali o da volontà variamente affermative; la sua storia è quella di un gruppo di gente di cultura che si è formato in tempo di pericolo ed è cresciuto fra le crisi e le contro crisi della nostra società letteraria, e, si potrebbe dire, della nostra società. […] Sono certa che i lettori si accorgeranno subito di quanto mi sia stato costoso affrontare anno per anno gli avvenimenti vissuti e soprattutto affrontare il costante lavoro di approssimazione ad una chiarezza analitica. Ma forse, se non fosse costato, non avrebbe avuto senso scrivere questa storia.” *

Era il 1944 quando la casa di Maria e Goffredo Bellonci apre le sue porte a scrittori, poeti, giornalisti e gente di cultura, diventando un vero e proprio salotto letterario in cui il trait d’union era il bisogno di rimanere vivi in quel contorno di morte che era la guerra, che era stata capace di distruggere ogni cosa, tranne i pensieri.

Roma era appena stata liberata dall’occupazione nazifascista e Maria Bellonci racconta che per lei era diventato di fondamentale importanza riuscire a fare qualcosa di concreto per porre fine al quell’abbandono culturale che la guerra era stata capace di generare. Decide così, insieme al marito, di creare quegli incontri “come fossero una festa”. Si alzava alle 5 del mattino per preparare le torte da offrire, in quelle feste di rinascita, a Gli amici della domenica, insieme al Tè. La necessità di riunirsi, di stare insieme, di ricominciare a vivere e mettere insieme idee che potessero ristabilire quell’equilibrio perso era molto più forte di qualunque fatica. C’era un bisogno enorme di ricominciare e ognuno provava a farlo come e da dove poteva.

“Cominciarono, nell’inverno e nella primavera 1944, a radunarsi amici, giornalisti, scrittori, artisti, letterati, gente di ogni partito unita nella partecipazione di un tema doloroso nel presente e incerto nel futuro. Poi, dopo il 4 giugno, finito l’incubo, gli amici continuarono a venire: è proprio un tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”. *

La prima riunione si tenne l’11 Giugno del 1944 e nel giro di poco tempo la lista dei pochi amici che presenziano quel pomeriggio diventano molti. Ritrovarsi diventa un modo per esorcizzare l’apprensione di quegli anni e per non farsi travolgere dalle rovine della guerra.  Ci si ritrova per parlare di politica, di cultura e soprattutto di letteratura.  

 “[L’idea] era nata da me, da me a paragone con gli altri, dalla nuova coscienza sorta nei tempi tanto incisivi della Resistenza durante i quali avevo imparato che gli uomini esistono gli uni per gli altri e che gli scrittori non fanno eccezione. Pensavo adesso che ciascuno avesse il dovere di vivere dentro un nucleo sociale e di offrire, potendo, alla comunità, un tributo di azioni quotidiane”. *

Da quegli incontri con gli amici della domenica nacque l’idea del Premio.

Una domenica di Gennaio del 1947 Maria Bellonci annuncia a quel gruppo ormai folto di intellettuali e uomini di cultura che tutto quel che stavano facendo e avevano portato avanti in quegli anni, sarebbe diventato un premio, un modo per essere solidali con la letteratura e con chi se ne occupava, e riconoscergli un ruolo vivo in quella riconciliazione con il mondo.

Nasce così il Premio Strega, che viene lanciato ufficialmente il 17 febbraio 1947.

Perché Premio Strega?

Un ruolo importante per la realizzazione e la concretizzazione lo ebbe Guido Alberti, un “giovane industriale attento e interessato alla cultura” che nel 1946 si era unito al gruppo degli Amici della Domenica e aveva deciso di sostenere economicamente l’idea del Premio letterario.  

Lunedì 27 gennaio alle undici del mattino Guido Alberti mi telefonò che il premio era stato deciso da lui e dai suoi parenti; la somma che gli Alberti offrivano era di duecentomila lire, per quei tempi più che dignitosa. E mentre noi tre insieme preparavamo il congegno delle votazioni, sulla lista del mio libretto del 1946 aggiungevo i nuovi del 1947 e mettevo insieme la prima lista dei votanti.*

Fu proprio per ringraziarlo per il suo interesse e per la possibilità concreta che regalò a quel progetto così sentito da tutti di essere realizzato, che si decise di dare al premio il nome del liquore Strega, per omaggiare lui e la sua famiglia, produttori dei torroni e del famoso liquore Strega.

Luci e ombre del Premio Strega

La prima edizione si tenne, dunque, nel 1947. La giuria era composta da 170 persone e a vincere fu Ennio Flaiano, con Tempo di uccidere.

Negli anni successivi i membri della giuria aumentarono sempre di più così come il premio in denaro divenne ogni anno più cospicuo. Il Premio Strega stava crescendo e lo dimostravano l’attenzione della stampa e poi anche della televisione, ma soprattutto lo dimostrava il suo essere un indicatore importante della situazione culturale in Italia e dei gusti dei lettori italiani.

Ma se l’obiettivo iniziale dello Strega era racchiuso in un ideale puro e di autentica solidarietà e voglia di portare avanti un progetto culturale che fosse di larghe vedute, negli anni, come spesso accade, le intenzioni iniziali prendono a vacillare. Ci furono momenti di polemica e di provocazione e non mancarono le contestazioni che, inevitabilmente, scaturirono da situazioni poco chiare.

Come nel 1961, anno in cui le stranezze iniziarono fin dal principio con una finale, dibattuta tra sei e non cinque finalisti (a tal proposito rimando ad un articolo de Il Foglio), dalla quale furono esclusi nomi come Lalla Romano, Giovanni Testori e soprattutto Leonardo Sciascia, e il cui epilogo fu la vittoria sul filo di lana di Raffaele La Capria, con il romanzo Ferito a morte, che lasciò fuori Fausta Cialente per un solo voto. Si pensò ad un errore del conteggio delle schede dei votanti che portò momenti di tensione e impose un riconteggio delle stesse.

Nel 1968, nel pieno delle contestazioni, il Premio fu molto criticato: critiche che contenevano una polemica ad ampio raggio su tutto il mondo culturale ed editoriale, in particolare.   

Venne accusato da Pier Paolo Pasolini, come sempre in anticipo sui tempi, di essere un Premio che non premiava né i libri né gli scrittori, ma rientrava perfettamente nei canoni della mercificazione della cultura e dell’oggetto libro che, grazie al sistema capitalistico, era diventato un oggetto di consumo esattamente come gli altri e che, a rigor di logica, rientrava pienamente nel gioco degli interessi dell’industria editoriale.

Chiese infatti di ritirarsi dal Premio, in cui era in gara con Teorema, dopo aver partecipato già altre due volte, nel 1955, con Ragazzi di vita, e nel 1959 con Una vita violenta, non vincendo in nessuna delle due edizioni.

Pasolini spiegò la sua decisione in un articolo apparso sul quotidiano Il Giorno, in cui, oltre adescrivere in anticipo sui tempi, il tunnel nel quale anche l’industria della cultura  si stava infilando, ci svela anche alcuni retroscena di un teatrino triste, fatto di pettegolezzi e intrecci personali e cose dette e non dette per volere di qualcuno.

Scrive:

 “ circolano parole d’ordine e veline. Di questo libro si può parlare, di quest’altro si taccia; questo libro vinca un premio, quest’altro no. Guai a te, Direttore di rivista, se fai recensire favorevolmente questo libro. E se tu, Scrittore, non fai una recensione buona di quest’altro libro, me la pagherai: infatti nessuno dei miei rotocalchi parlerà più di te. Ah, tu, Letterato, sei amico di quest’altro letterato? Ebbene, tradiscilo, altrimenti non ti rinnovo il contratto con la mia casa. Sei il votante di un premio? Bene, dammi la scheda, o entri nella lista di proscrizione. Bè, prendi questi soldi, dammi la scheda. Ah, vecchi tempi, in cui una delegazione di votanti dello Strega andava da uno scrittore (buono) a pregarlo di ritirarsi dal premio perché la figlia di un altro scrittore (buono) doveva sposarsi, e quindi il milioncino del premio occorreva a lei!” 

In virtù di certe considerazioni, Pasolini chiede di ritirare il suo libro dalla gara, ma il regolamento non lo consente, pertanto la risposta del Comitato è un No secco.

Da quel momento in poi gli scandali e le polemiche intorno al Premio Strega si sono succeduti quasi regolarmente, come racconta la stessa Bellonci, la quale non nasconde i momenti di difficoltà anche personale nel provare ad arginare i malcontenti e, soprattutto, nel provare a tenere sotto controllo qualcosa che, ormai, era andato ben oltre quelle che erano le intenzioni e i sentimenti per cui quel premio, fortemente voluto da lei e da suo marito, aveva visto la luce: sentimenti puri, autentici, di amore e di condivisione della bellezza.

 “Noi abbiamo detto e ripetuto che i votanti dovrebbero considerare meglio che lo scrittore, il libro. Ma non sempre […] le nostre esortazioni sono state seguite”. *

Una sorta di confessione, quella della Bellonci, che somiglia tanto ad una scusa, ma che in realtà fa parte di quel suo modo di essere una donna dal carattere forte, ma che non ama la mondanità e il cui carattere pacato si augurava discussioni che non fossero mai troppo accese, a differenza del marito che, invece, le preferiva di gran lunga affinché del premio si parlasse.

Alcuni tra i vincitori più illustri del Premio Strega, dal 1947 fino alla fine degli anni ’90 del 900

Fin da subito il Premio Strega è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nell’ambiente culturale italiano, tanto da diventare un indicatore rilevante, o forse un indirizzatore, dei gusti libreschi degli italiani e dell’evoluzione del mercato editoriale.

Di sicuro è uno dei Premi più ambiti dall’editoria e ha una grande influenza sulle scelte dei lettori italiani. Nei 76 anni della sua esistenza ha saputo cogliere i cambi di tendenza e le preferenze della cultura e della letteratura contemporanea.

E molti sono i capolavori della letteratura contemporanea che hanno vinto il Premio Strega: per citarne solo alcuni: La bella estate di Cesare Pavese (1950) L’isola di Arturo di Elsa Morante (1957), Sessanta racconti di Dino Buzzati (1958), Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1959), La chiave a stella di Primo Levi (1979) , Il nome della rosa di Umberto Eco.(1981)

Un particolare non poco rilevante è la presenza di sole 11 donne in 76 edizioni, indicatore evidente di quanto l’ambiente della cultura, con la fabbrica editoriale che gli ruota intorno, non solo appoggia una società che porta avanti inclinazioni maschiliste, ma è la cultura stessa a farsi portarice di stereotipi di genere, quegli stessi stereotipi che solo grazie alla cultura potrebbero, e dovrebbero, essere estirpati alla radice, ma solo se attuando azioni concrete e non solo sulla carta.

La prima donna a vincere nel 1957 fu Elsa Morante, seguita da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco e Helena Janeczek, la cui vittoria risale al 2018 e che ripresenta una donna dopo un intervallo di 15 anni.

Di seguito una selezione dei più conosciuti, dal 1947 fino alla fine degli anni 90 del ‘900, con le copertine originali che sono dei veri e propri capolavori.

Le immagini sono prese dal sito ufficiale del Premio Strega

Le accuse di mondanità

L’accusa di mondanità viene da chi non ha mai assistito agli incontri che precedono la serata finale, quelli che si svolgono qui a casa mia. La rifiuto. Il Premio è invece qualcosa di vitale, di coerente, di coesivo. Uno strumento robusto adatto a far conoscere la narrativa italiana. E se una cosa mi rende orgogliosa è la serie dei libri che compone la Collana dei Premi Strega edita dal Club degli Editori, unica in Italia e nel mondo: una vera e balzante storia della nostra vita letteraria dalla fine della guerra ad oggi.

È questa la risposta che Maria Bellonci dà a Sandra Petrignani, nell’intervista sopra citata, alla domanda/provocazione: “Molti non considerano lo Strega un servizio reso alla letteratura, ma una grossa occasione mondana, professionalmente utile…”

E, in effetti, nelle parole della Bellonci c’è molta verità, se si tiene conto delle basi sulle quali la struttura iniziale dello Strega si edifica e le intenzioni autentiche dei primi Amici della domenica.

Quello di cui la Bellonci non tiene conto è tutto ciò che negli anni si è accavallato a quelle intenzioni, portando il Premio in una direzione un po’ diversa da quella che si era intrapresa negli anni ’40. Siamo già negli anni ’80 quando la Petrignani la intervista, e di cose e scandali che hanno tirato fuori maldicenze di ogni tipo, ma anche malcontenti e denunce per quelle che erano le dubbie procedure delle selezioni di voto, erano già state tante. Pertanto è abbastanza chiaro quanto ci fosse poca consapevolezza dei meccanismi che nel frattempo si erano messi in moto riguardo le modalità di scelta dei libri in concorso e dei vincitori.

È vero che negli anni, per provare ad ovviare a tutti i pettegolezzi che ruotano intorno alla kermesse editorial/mondana più chiacchierata dell’anno, si è provato a cambiare un po’ di regole.  Sono, però, modifiche che hanno il sapore di un palliativo, utili perlopiù per mettere a tacere un po’ di malignità, che malignità proprio non sono, ma che nella sostanza non hanno attuato dei veri e propri cambiamenti.

Per fare qualche esempio: nel 2015 è stata introdotta una nuova regola che prevede che nella cinquina finale ci sia almeno una casa editrice più piccola; o ancora nel 2018 si è stabilito che tutti gli Amici della domenica potessero proporre un titolo, tra quelli usciti tra il 1 Aprile dell’anno precedente e il 31 Marzo dell’anno in corso, affinché le possibilità di partecipazione alla gara potessero essere allargate a visioni più svariate, senza cadere nel solito perimetro dei libri già decisi a monte “dagli amici degli amici”. Fino a quel momento, infatti, le proposte iniziali potevano essere soltanto 12, dal 2018, invece, le proposte iniziali possono essere molte di più ed è poi da quelle che il comitato sceglie la rosa dei primi 12 finalisti.  

Alla fine dei conti, però, dopo la selezione fatta per step, che dai 12 finalisti conduce alla cinquina finale, quel che conta è ciò che rimane e, chissà perché, i libri che rimangono appartengono sempre all’élite dell’editoria.

Ma davvero solo le grandi case editrici pubblicano i libri più belli e rappresentativi in Italia? A conti fatti, no! Anzi, più passano gli anni più la sensazione è che molte piccole case editrici si stiano facendo spazio a colpi di buona scrittura e bravissimi scrittori emergenti che nulla hanno da invidiare a chi riesce facilmente a prevalere solo ed esclusivamente per politica editoriale. Anche i premi letterari iniziano ad essere molti di più e anche molto interessanti e seguiti dal pubblico dei lettori, ma l’unico a cui viene dato certo spazio di influenza sulle letture “indirizzate” degli italiani continua a rimanere il Premio Strega.

Sarebbe interessante capire cosa direbbe oggi Maria Bellonci e soprattutto se ancora sarebbe in grado di negare la nuova strada intrapresa, con o senza consensi da parte sua, di un Premio che più che premiare i migliori, premia semplicemente “i più” : i più grandi, i più inserti politicamente, i più vicini a quell’élite che si gioca le partite a suon di accordi e di alleanze, sempre meno velate, con i grandi gruppi dell’editoria.

Dunque il Premio Strega è questo: una kermesse che ogni anno si ripete con le stesse dinamiche fatte d gossip, di critiche a volte spietate, con il benestare di media, case editrici e scrittori che si trovano coinvolti nel teatrino della mercificazione della cultura, che tutti gli anni riesce ad essere al centro delle news editoriali e del tifo di quei lettori che ne assecondano la cerimonia commerciale.

Forse è ormai difficile poter estirpare questo modello dal Premio Strega, ma per fortuna ci sono altri premi, altri scrittori, altri libri, altre letture e altre case editrici che in Italia si stanno facendo spazio pur senza dover necessariamente passare da quella che un tempo sembrava essere una dogana necessaria. Oggi, anche grazie ad una diffusione diversificata e meno referenziale dei libri e della cultura in generale, ogni lettore ha la possibilità di fare scelte meno indotte o spinte da certi interessi, orientandosi tra buoni libri fatti molto di buona scrittura e molto meno di interessi esclusivamente commerciali.

Emanuela Gioia

CREDITS:

*Tutte le citazioni con asterisco sono prese dal libro “Come un racconto. Gli anni del premio Strega” un’edizione esclusiva del Club degli Editori dell’anno 1977

** Le immagini storiche del Premio sono prese dall’archivio del sito dedicato al Premio Strega

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